Sono rimasto molto colpito dall’affermazione di un membro del Governo che avverso la OPA di Unicredit su Bpm possa esercitarsi il golden power con l’argomentazione che Unicredit sia un’impresa a capitale straniero.

Molto è stato scritto sulla trasformazione, originata dalle molteplici censure della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, della golden share, legata ad una partecipazione societaria pubblica nella società cessionaria, nel golden power, che si regge sul potere attribuito al Governo di impedire la cessione o comunque atti di straordinaria amministrazione di imprese operanti in settori strategici a capitali c.d. stranieri.

I settori strategici, originariamente circoscritti alla difesa e alla sicurezza nazionale, hanno trovato un successivo significativo ampliamento nelle reti infrastrutturali, nell’energia, nelle tecnologie, nella sanità, nelle telecomunicazioni, nei settori finanziari e assicurativi e persino nel settore agroalimentare.

Resta fermo, però, il principio che tale istituto possa trovare applicazione solo in caso di rischio per la sicurezza e l’ordine pubblico e per la tutela dell’interesse nazionale in settori e filiere strategiche. I progressivi ampliamenti settoriali han fatto sì che nella prassi economica vengano notificate al Governo acquisizioni, cessioni, fusioni, atti di straordinaria amministrazione effettuate da imprese italiane o da investitori italiani relative ad imprese e società anch’esse italiane. Orbene tale prassi, dettata dall’evitare il rischio di una sanzione per la mancata notifica, va ben oltre la ratio e la lettera della norma sul golden power.

Ciò premesso appare lecito chiedersi se possa essere definita ‘straniera’ una società come UniCredit ad azionariato diffuso con un capitale flottante pari al 100% delle azioni, quotata alla Borsa di Milano con una rete di sportelli e con un volume di raccolta e di impieghi maggiormente presenti sul territorio italiano.

Mi corre l’obbligo, ancor prima di formulare la mia interpretazione, di affermare che, nonostante avversa dottrina, a mio modesto avviso il golden power non è applicabile ai capitali provenienti dall’Unione Europea, perché in tal caso ci troveremmo in una palese violazione delle norme eurounitarie in materia di libera circolazione dei capitali e tale applicazione sarebbe censurata dalla Corte di Giustizia di Lussemburgo. Rammento che un’ipotizzata applicazione di tale istituto all’acquisizione da parte della francese Safran della Microtecnica non ha poi trovato applicazione.

E’ certamente vero che ad oggi il 38% del capitale di Unicredit faccia riferimento a investitori provenienti dagli Stati Uniti e un ulteriore 26% a investitori del Regno Unito, ma questa situazione ha un carattere fotografico e non dinamico, se si riflette che il 100% delle azioni e’ quotato. Se dunque l’elemento della proprietà contingente non è dirimente, esso, proprio per l’assenza di un azionista di riferimento stabile, difficilmente può qualificare come straniera un’impresa. Più logicamente per attribuire una nazionalità ad una banca dovremo fare riferimento alla sua sede legale, alla vigilanza della Banca Centrale Europea, al controllo della CONSOB, alla sottoposizione al giudice italiano dei suoi contenziosi, alla cittadinanza dei suoi dipendenti, alle citate provenienze dei risparmi raccolti e alle nazionalità delle imprese e delle famiglie che attingono ai suoi finanziamenti. Altro e diverso discorso è la difesa dell’indipendenza e dell’identità di una banca come BPM che da sempre opera nel territorio con una forte integrazione economica e sociale. Ciò può essere correttamente perseguita ma non con l’istituto del golden power.

Cesare San Mauro

Titolare della Cattedra di Diritto del Mercato e degli Strumenti Finanziari Facoltà di Economia Università La Sapienza Roma